L'intervista della curatrice Valentina Ciarallo
Quando e come hai iniziato a fotografare?
È stato un processo graduale, come quello che si costruisce e si acquisisce col passare degli anni nel corso della vita. Non c’è una data precisa. Tutto è iniziato in una fase molta avanzata, se non di età, certamente di maturità e dopo varie esperienze lavorative. Da lì ho capito prima di tutto come non avrei accettato vivere il resto della mia esistenza.
Il tuo primo servizio fotografico e l’ultimo ?
Il primo è stato su alcuni test fotografici per un’agenzia di moda. L’ultimo un servizio di copertina ad un calciatore.
Chi sono stati i tuoi maestri o le tue fonti di ispirazione?
I maestri nella vita sono sempre molteplici, non necessariamente attinenti all’ambito fotografico. Nella mia formazione professionale si sono rivelate fondamentali diverse esperienze di vita maturate in ambiti lavorativi differenti e in apparenza lontane dal mio mondo. Alla fine la fotografia è uno sguardo su ciò che ci circonda e di cui cogliere tutte le sue sfumature. La conoscenza ed intelligenza non si limita mai ad un unico “colore” e non scaturire da una singola esperienza.
Un ricordo della tua infanzia?
Quando giocavo con mia sorella sulla neve. Una bella fotografia.
Ti dividi tra Milano, Parigi, Los Angeles. A quale città sei più legato?
Ognuna di queste città, ma anche molte altre, mi fa vivere forti emozioni e mi dà la possibilità di incontrare tipologie diverse di persone. Dovunque trovo spunti e stimoli estetici completamente differenti ma fondamentali nella ricerca del mio equilibrio esistenziale e professionale.
Il tuo soggetto preferito?
Il corpo e il volto. Sempre stato cosi anche agli esordi, quando non era ancora delineato il mio percorso professionale e l’idea di vivere con la fotografia era forse solo un bel sogno utile ad anestetizzare una quotidianità lavorativa che non mi faceva stare bene. Ricordo che, una volta, un agente di fotografia alla consegna di un free test fotografico che fu rigettato mi disse: “Tu non andrai mai da nessuna parte come fotografo, fotografi troppo e solo le facce delle modelle”. Al momento rimasi molto ferito, in seguito analizzando le parole e ripulendole dalla tracotanza con la quale mi vennero dette, capii che tutto sommato aveva ragione . Già da allora era forte la mia propensione verso il ritratto. Fortunatamente per me quelle “facce” hanno aperto tante strade nella mia carriera artistica.
Bianco e nero o colore? Piccoli o grandi formati?
Non è importante la tecnica utilizzata ma l’immagine che viene a crearsi. Si può essere grandi fotografi usando anche solo uno smartphone. Il contenuto e la forma si plasmano nell’essenza dell’immagine fotografica.
Il volto noto più difficile da gestire?
Nessuno in particolare. Basta fotografare liberandosi dai canoni estetici imposti e intravedere la bellezza in ogni forma che si presenta davanti ai nostri occhi.
La moda è arte o l’arte è moda?
Discorso troppo complesso ed articolato per non cadere nel banale. Quello che nel tempo si considerava “lavoro commerciale” o di moda si è riscoperto in seguito come arte. Andy Warhol e Toulouse-Lautrec lo hanno insegnato.
È cambiato qualcosa dopo il 2020 nel modo di fotografare e come vedi il futuro della fotografia?
Dipende da cosa si fotografa, per chi e per quali finalità. La fotografia come interpretazione del mondo da parte dell’artista non cambia. Ciò che cambia è solo il mezzo e l’utilizzo finale. Il futuro per me corrisponde unicamente al concretizzarsi di eventi pianificati. È un percorso che si intraprende senza sapere cosa ci attende, una prospettiva a tratti spaventosa per me prima di aver dato avvio alla mia carriera di fotografo. Ora cerco lo stimolo per scoprire e ricercare l’imprevedibilità della vita stessa.